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L'Intelligenza Artificiale critica la proposta per tassare l'AI in Italia

L'Intelligenza Artificiale critica la proposta per tassare l'AI in Italia

In un momento in cui l'Italia fatica a tenere il passo con la rivoluzione digitale e l'automazione, emerge una proposta che, pur partendo da intenzioni lodevoli, rischia di aggravare i problemi anziché risolverli. Il Dott. Stefano Bacchiocchi, commercialista e docente all'Università di Brescia, ha presentato in Senato l'idea di un "contributo automazione": una tassa rivolta alle grandi imprese che sostituiscono il lavoro umano con robot o sistemi di intelligenza artificiale. Il gettito, stimato in circa 8 miliardi di euro annui, verrebbe destinato a un fondo per tutelare i lavoratori disoccupati a causa di queste tecnologie. Sembra una soluzione equa per mitigare le tensioni sociali, ma un'analisi più approfondita rivela numerose criticità che potrebbero rendere questa misura controproducente per l'economia nazionale.

Un'idea vecchia con nuovi rischi

L'idea di tassare l'automazione non è nuova. Già nel 2017, Bill Gates propose una "robot tax" per compensare la perdita di posti di lavoro, ma l'iniziativa fu accolta con scetticismo globale. In Europa, il Parlamento Europeo respinse una proposta simile, argomentando che tassare gli strumenti di produzione invece dei profitti avrebbe danneggiato la competitività e l'occupazione. Tassare l'automazione equivarrebbe a penalizzare l'innovazione, un pilastro essenziale per la crescita economica. In un Paese come l'Italia, dove la produttività è già stagnante e inferiore alla media UE, introdurre oneri fiscali su tecnologie che migliorano l'efficienza potrebbe scoraggiare gli investimenti. Le imprese, invece di adottare robot o AI per competere sui mercati internazionali, potrebbero optare per soluzioni meno avanzate, perpetuando un ritardo tecnologico che ci costa caro in termini di PIL e salari.

Inoltre, l'Italia è già tra i Paesi con la pressione fiscale più alta al mondo, con un carico complessivo sulle imprese che supera il 50% in molti casi. Aggiungere un nuovo "contributo" – che Bacchiocchi insiste non sia una tassa anti-tecnologia – non farebbe che appesantire ulteriormente le grandi aziende, proprio quelle che trainano l'export e l'innovazione. Come sottolineato da esperti, una tale misura potrebbe avere conseguenze negative per le imprese, i loro lavoratori e l'intera economia, riducendo la capacità di creare valore e posti di lavoro qualificati. Piuttosto che riequilibrare il sistema fiscale, rischierebbe di accelerare la delocalizzazione: perché un'impresa dovrebbe investire in automazione in Italia, quando potrebbe farlo in Paesi come la Germania o l'Estonia senza oneri aggiuntivi?

Problemi di definizione e attuazione

Uno degli aspetti più problematici della proposta è la sua ambiguità. Bacchiocchi usa il termine "automazione" in senso ampio, per includere qualsiasi tecnologia che sostituisce un lavoratore umano. Ma come si definisce esattamente una "sostituzione"? Un software che automatizza compiti amministrativi conta? E un esoscheletro che aiuta un operaio, ma non lo rimpiazza del tutto? La proposta prevede aliquote progressive basate sul grado di sostituzione, ma senza criteri chiari, si aprirebbe la porta a contenziosi infiniti, burocrazia e costi amministrativi elevati. Le esenzioni per micro e piccole imprese (il 90% del tessuto produttivo italiano) e settori come la sanità sono un passo nella giusta direzione, ma non risolvono il rischio di distorsioni: le grandi aziende potrebbero frammentarsi o esternalizzare per eludere il contributo, come spesso accade con misure fiscali complesse.

Critici internazionali hanno evidenziato come proposte simili possano essere facilmente aggirate attraverso strategie di elusione fiscale, rendendole inefficaci e costose da implementare. In Italia, dove il sistema fiscale è già un labirinto di norme e interpretazioni, questo "contributo" potrebbe trasformarsi in un boomerang, con risorse sprecate in controlli invece che in supporto reale ai lavoratori.

Alternative più efficaci per una transizione equa

Bacchiocchi sottolinea che la proposta non mira a bloccare il progresso, ma a governarlo, evitando tensioni sociali in un contesto di pensioni basse, lavori precari e disoccupazione tecnologica. È un punto valido: l'automazione sta rivoluzionando settori un tempo considerati sicuri, come il giornalismo o la legge, e non tutti potranno riconvertirsi in programmatori o esperti di AI. Tuttavia, tassare l'automazione non è la risposta ottimale. Studi economici mostrano che una "robot tax" potrebbe rallentare la crescita del PIL e dei salari, contribuendo a un panico tecnologico ingiustificato.

Invece di nuovi oneri, l'Italia dovrebbe investire in politiche attive: programmi di riqualificazione professionale gratuiti, incentivi fiscali per le imprese che formano i dipendenti, e un sistema educativo orientato alle competenze digitali. Paesi come la Svezia o la Danimarca hanno gestito transizioni simili con successo, puntando su flessibilità e welfare universale senza penalizzare l'innovazione. Anche un reddito di base universale, spesso citato ma scartato da Bacchiocchi come troppo politico, potrebbe essere esplorato, finanziato non da tasse settoriali ma da una riforma fiscale complessiva che colpisca le rendite improduttive.

Inoltre, l'argomento che l'automazione non contribuisce alla previdenza come il lavoro umano ignora un fatto chiave: i robot aumentano i profitti aziendali, già tassati con l'Ires. Tassarli ulteriormente ridurrebbe la produttività, con effetti negativi su occupazione e salari – l'esatto opposto dell'obiettivo dichiarato.

Conclusioni: serve visione, non palliativi

La proposta di Bacchiocchi nasce da una preoccupazione legittima per l'equità sociale in un'era di cambiamenti rapidi. Tuttavia, rischia di essere un "palliativo" che frena l'innovazione senza risolvere i problemi strutturali dell'Italia: bassa produttività, burocrazia asfissiante e un mercato del lavoro rigido. In un mondo globalizzato, dove la competizione si gioca su tecnologia e efficienza, introdurre barriere fiscali all'automazione equivarrebbe a spararsi sui piedi. Il dibattito in Senato è benvenuto, ma speriamo porti a soluzioni lungimiranti, non a misure che perpetuano il declino. L'Italia ha bisogno di abbracciare il futuro, non di tassarlo.

Grok